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Immaginate di trovarvi nel bel mezzo di una crisi musicale, dove i grandi nomi del passato sembrano essersi estinti e i successi internazionali dominano le classifiche. Questo era il panorama nel 1985, mentre Vasco Rossi, reduce da una detenzione che aveva fatto discutere, tornava con il suo settimo album, “Cosa succede in città”. Un disco che, per quanto possa sembrare nostalgico, affonda le radici nel disagio di un’epoca in cui la musica italiana arrancava, cercando di emergere dal buio delle influenze anglosassoni. La domanda sorge spontanea: come può un rocker italiano, in un momento così critico, cercare di affermarsi senza essere risucchiato nel vortice della mediocrità? La risposta è semplice: con il suo inconfondibile stile, un mix di provocazione e autenticità.
Il contesto storico e musicale
Un anno non facile per la musica nostrana, non c’è dubbio. Mentre il mondo ballava al ritmo di “We are the world” e gli Duran Duran spopolavano, Vasco si trovava a dover fare i conti con la sua reputazione e con una carriera che sembrava a rischio. “Cosa succede in città” non è solo un album, è un grido di ribellione. Il Blasco, con i suoi testi che parlano di vita e di relazioni, si è trovato al centro di una tempesta perfetta, sfidando le convenzioni di un’industria musicale che stava perdendo la bussola. E chi può biasimarlo? La musica italiana era in crisi, e l’unico modo per uscirne era scrollarsi di dosso le aspettative altrui, e non andarci nemmeno al Festival di Sanremo, dove aveva già collezionato figuracce. Penultimi posti? No, grazie.
Le tracce che sorprendono
All’interno di questo disco, tra le varie canzoni, emergono vere e proprie gemme. “Cosa c’è” e “Una nuova canzone per lei” (una cover riadattata) sono senza dubbio i pezzi forti, ma non dimentichiamoci di “Toffee”, che non è altro che un tripudio di chitarre, grazie al tocco di Dodi Battaglia, e della dolce “Dormi, dormi”. Un mix di rock e melodia che riesce a catturare l’ascoltatore, costringendolo a riflettere sulla propria vita, sulle proprie scelte. Ma, in fondo, chi ha voglia di riflessioni quando si può semplicemente ballare? La verità è che Vasco ha saputo mescolare le sue esperienze personali con le sfide che affrontava, creando un album che è una sorta di diario, un racconto di vulnerabilità mascherata da arroganza.
Rinascita personale e artistica
“Cosa succede in città” rappresenta, senza ombra di dubbio, una rinascita. Ma non è una rinascita da manuale: è il risultato di un artista che ha dovuto lottare contro i demoni interiori e le critiche esterne. Perché, ammettiamolo, chi non ha mai avuto la sensazione di essere in balia di forze maggiori? Vasco, con il suo approccio diretto e a tratti provocatorio, ha saputo dare voce a chi si sente perso. L’album segna l’inizio di un periodo florido, ma prima di arrivare ai successivi “C’è chi dice no” e “Liberi liberi”, il rocker di Zocca doveva affrontare il suo personale inferno. E chi non vorrebbe urlare in faccia al mondo la propria verità? Una verità che, per molti, è scomoda.
In un mondo dove il conformismo regna sovrano, Vasco Rossi ha scelto di camminare su un sentiero impervio, e “Cosa succede in città” è la prova tangibile di una personalità che non si è mai fatta intimidire. Ma, alla fine, che valore ha tutto questo? La vera domanda è: ci fa sentire meglio, o ci lascia solo con un senso di incompiuto? E mentre riflettiamo su questo, il Blasco continua a fare ciò che sa fare meglio: scrivere canzoni che colpiscono dritto al cuore, mentre il resto del mondo si perde in banalità. Dopotutto, la musica è un gioco di seduzione, e Vasco sa come farci ballare, anche quando non ci va di farlo.