Un viaggio sonoro tra angoscia e bellezza – Guida completa

In un mondo dove la musica sembra spesso una mera distrazione, ci si potrebbe chiedere: cosa resta quando le note svaniscono e le parole non bastano più a m...

In un mondo dove la musica sembra spesso una mera distrazione, ci si potrebbe chiedere: cosa resta quando le note svaniscono e le parole non bastano più a mascherare la realtà? È in questo contesto che “Endling”, il quinto album di Qasim Naqvi, batterista dei Dawn of Midi, si fa strada come un urlo di disperazione e speranza, un’opera che ci catapulta in un universo distorto, ma incredibilmente attuale. L’album, pubblicato dall’etichetta Erased Tapes, non è solo un’avventura sonora, ma un riflesso di una società sull’orlo di un baratro, dove le emozioni si mescolano a una cruda analisi del nostro tempo.

Un viaggio sonoro tra angoscia e bellezza

La prima traccia, “Fires”, apre le danze con un’atmosfera inquietante, come se il caos del mondo esterno si materializzasse in un drone industriale. Ma Naqvi non si ferma qui; la sua abilità nel manipolare il suono lo porta a creare melodie che si arricciano come un punto interrogativo, interrogandoci su cosa significhi esistere in un’epoca di crisi. Ecco che ci si domanda: è solo una questione di tecnica? È Naqvi che gioca con i nostri nervi, o siamo noi a essere troppo distratti da una vita che ci sfugge di mano?

Ma ciò che rende “Endling” davvero affascinante è la sua capacità di trasformare il disagio in un rifugio, una sorta di terzo spazio dove discutere di horror e speranza. La musica non è solo un sottofondo; è un commento critico, un abbraccio straziante che ci invita a riflettere. Ogni pezzo è una narrazione, una lotta per mantenere viva la nostra umanità mentre ci avviciniamo a un futuro incerto.

Un eroe tragico in un mondo in estinzione

Naqvi ha costruito “Endling” come un prequel di “God Docks at Death Harbor”, un’opera che immagina un mondo dopo la nostra scomparsa. Qui, il protagonista è l’ultimo di una specie che cerca di aggrapparsi a ciò che resta della sua umanità. È come se ci chiedesse: quanto tempo abbiamo davvero prima che il nostro viaggio termini in un silenzio assordante?

E non è solo la musica a fare da sfondo; le parole di Moor Mother, in “Power Down the Heart”, risuonano come un eco di verità scomode. La sua voce, simile a quella di un’intelligenza artificiale morente, ricorda le meraviglie e i disastri dell’esistenza, un monito che grida nel vuoto. È un momento di rivelazione: la storia che stiamo vivendo è una continua serie di crolli, eppure continuiamo a ignorare il messaggio. Ma chi ha voglia di ascoltare?

Il finale che lascia senza fiato

“Endling” culmina in un finale che oscilla tra il tragico e il sublime. “The Great Reward” si presenta come un ossimoro: la salvezza promessa è nulla più di un’illusione. La musica si spegne, lasciando solo il silenzio, e con esso, una riflessione amara. È un richiamo a capire che il vero premio per la nostra devozione non è altro che un pianeta che continua a girare, indifferentemente, senza di noi.

In un’epoca dove il rumore della vita quotidiana ci distoglie dalla realtà, “Endling” emerge come un faro di consapevolezza. Non possiamo più permetterci di ignorare i segnali: la musica è l’unico linguaggio che resta per esprimere la nostra angoscia e la nostra speranza. E mentre ci perdiamo in melodie eteree, ci si chiede se riusciremo mai a riconoscere il nostro posto in questo vasto, inquietante universo.

Scritto da Redazione

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