Argomenti trattati
Quando si parla di crisi artistica, non si può non citare Gianluca Grignani e il suo album Il re del niente. Pubblicato nel 2005, questo disco si presenta come una sorta di manifesto della mediocrità, dove le parole si arrampicano sugli specchi per cercare di sembrare profonde, ma che in realtà affondano in un mare di banalità. Che dire? È come cercare di risollevare un cadavere con un po’ di trucco: il risultato è sempre lo stesso. Eppure, il disco ha avuto la sua dose di successo, il che ci fa domandare se realmente il pubblico sia in grado di riconoscere la vera arte o se venga attirato da un blablabla melodico che sa di già sentito.
Tra i singoli e la mediocrità
Anticipato da singoli come Bambina dallo spazio e Arrivi tu, Il re del niente si impone nel panorama musicale con la sua presunta maturità. Ma maturità di cosa, di un poeta che non sa nemmeno dove mettere le rime? Ebbene, il disco è stato premiato con il Premio Lunezia, un riconoscimento che, a dirla tutta, potrebbe essere più un insulto che un complimento. Chi ha mai definito i testi di Grignani come poetici? Forse chi è troppo impegnato a cercare di sembrare intellettuale in un bar con un bicchiere di vino rosso in mano.
Le tracce che brillano di una luce stanca
Tra le canzoni degne di nota ci sono Il re del niente e Che ne sarà di noi, colonna sonora di un film che, a giudicare dalla musica, avrà avuto bisogno di un buon editor. E poi ci sono brani come Benvenuto nel gioco e Un giorno azzurro, che sembrano più una scusa per riempire il disco che veri e propri pezzi da ascoltare. Sono come quei film che vanno direttamente in streaming: ci si aspetta poco e raramente si ottiene qualcosa di buono. Eppure, il pubblico applaude, come se stesse assistendo a una recita di scuola elementare.
Il paradosso del successo
Ma come si spiega che un disco così scialbo riesca a trovare il suo pubblico? La risposta è semplice: la gente ama sentirsi dire che quello che ascolta è profondo. È un po’ come dire che un piatto di pasta con il ketchup è gourmet. La verità è che, mentre Grignani si sforza di sembrare il re di un regno immaginario, in realtà regna su un terreno di mediocrità. A questa affermazione, qualcuno potrebbe ribattere che è una questione di gusti. Ma è davvero così? Cosa c’è di più soggettivo della musica? Eppure, c’è una sottile linea tra il soggettivo e il ridicolo.
Una conclusione provocatoria
In fin dei conti, Il re del niente è un disco che non può essere etichettato in un genere preciso. È un’opera che sfida le convenzioni, ma solo perché non riesce a rispettarle. Quindi, che dire? Se questo è il risultato di un artista che ha vent’anni di carriera alle spalle, forse è il momento di chiedersi se non dovremmo tutti appendere gli strumenti al chiodo e dedicarci a qualcosa di più utile. Magari come contare le stelle, che almeno non ci deluderebbero mai. E mentre la musica di Grignani continua a girare, ci si può sempre chiedere: chi è veramente il re del niente? La risposta è un mistero che, in fondo, non interessa a nessuno.