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In un mondo dove la musica spesso perde la sua anima, la storia di Emahoy Tsege Mariam Gebru emerge come un grido di dolore e di speranza. Chi è costei, vi chiederete? Una pianista etiope che ha saputo trasformare le sue esperienze di vita in melodie di una bellezza disarmante. Ma non lasciatevi ingannare dalla dolcezza delle sue note; dietro la sua musica si nasconde un universo di sofferenza, passione e, perché no, un pizzico di follia.
Un’infanzia segnata dal dramma
Immaginate di essere una bambina di cinque anni, strappata dalla vostra casa a causa di un incendio. Emahoy, figlia di un riformatore politico, si ritrova in Svizzera, lontano dalla sua terra natale. E qui, in un concerto che le cambierà la vita, scopre il potere della musica. Non è forse un paradosso? Una vita di lutti e spostamenti, eppure la musica diventa la sua compagna più fedele. Che ironia, non credete?
Le melodie della memoria
Le sue composizioni, come “Mother’s Love” e “The Last Tears of a Deceased”, sono dedicate a chi non c’è più. Emahoy riesce a trasformare il dolore in note, a dare voce a ciò che spesso rimane inespresso. Ogni melodia è un viaggio, un’eco di sentimenti che risuona in chi ascolta. Ma vi siete mai chiesti cosa ci sia dietro a queste opere? Una mente disturbata, un’anima in tumulto che cerca di mettere ordine in un mondo caotico? La risposta è nelle sue mani.
Un’arte sacra e profana
La sua vita monastica, culminata in un’esperienza come suora, aggiunge un ulteriore strato alla sua musica. “Church of Kidane Mehret”, il suo ultimo lavoro, è un tentativo di fondere sacro e profano. Ma, ahimè, non raggiunge le vette delle sue creazioni precedenti. Le melodie sembrano piatte, un’ombra di ciò che Emahoy potrebbe dare. Certo, i brani come “Via Dolorosa” promettono dramma, ma dove sono le emozioni? Una delusione, per dirla in maniera blanda.
Il potere del piano
Il pianoforte, la sua vera amica, diventa un’arma a doppio taglio. Emahoy sa come giocare con le emozioni, ma in questo album sembra perdere il tocco magico. I suoi pezzi al pianoforte, così vibranti e carichi di sentimenti, si contrappongono ai suoni più freddi dell’organo. È un po’ come cercare di girare un film epico con un budget da cortometraggio. La bellezza di “The Garden of Gethsemane” viene sprecata in un’accozzaglia di suoni: un vero peccato.
Un’eco di grandezza
Nonostante tutto, alcuni brani estratti da “Der Sang Des Meeres” risvegliano la magia. Emahoy torna a essere se stessa, con melodie che toccano il cuore. “The Storm” e “Essay on Mahlet” ci ricordano il suo genio, quello che sa trasformare una semplice nota in un’emozione pura. Ma perché ci vuole così tanto per arrivare a quel punto? Forse perché la vita stessa è una lotta continua, e la musica di Emahoy riflette questa realtà, con tutte le sue contraddizioni.
Riflessioni finali
In un’epoca in cui la musica viene spesso ridotta a mera merce, la storia di Emahoy è un potente promemoria di ciò che ci si può aspettare da un artista. Una vita vissuta intensamente, trasformata in note che parlano di amore, perdita e speranza. Ma vi siete mai chiesti se la sua musica riesca davvero a colpire nel segno come un tempo? O se sia solo un ricordo sbiadito di una grandezza passata? La risposta, come al solito, rimane sospesa nell’aria. In fondo, la musica è una questione di percezione. E voi, come la percepite?