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Se c’è una cosa che il mondo della musica ci ha insegnato, è che il dolore può essere un carburante potente. E così, mentre Marina si lancia nel suo sesto album, “Princess of Power”, è impossibile non chiedersi: ma che razza di amore stiamo davvero cercando? L’artista gallese, nota per le sue melodie accattivanti e i testi che rasentano il melodramma, ci offre una lezione su quanto possa essere difficile rialzarsi dopo una caduta. Il suo nuovo lavoro è un viaggio da una tristezza opprimente, come quella di “Everybody Knows I’m Sad”, verso un’eroicità che sa di finta, cantando l’epopea di una donna che cerca di ritrovare il coraggio di amare.
Un disco da ballare o da piangere?
Ah, il disco. Una celebrazione della vita e della sua fottuta superficialità. “Princess of Power” si apre con il brano omonimo, che ci fa strabuzzare gli occhi come se fossimo in un circo. Una canzone che promette di liberare le nostre danze, ma alla fine sembra più un tentativo di svuotare una bottiglia di champagne piuttosto che un vero inno all’amore. Si passa da “I <3 You", un tentativo di scintillio disco che, diciamolo, non brilla poi così tanto, a "Rollercoaster" che si aggrappa a sogni di sesso spiaggiato e baci che sembrano più sogni lucidi che esperienze reali. Marina, dolcemente, ci invita a ballare, ma non possiamo fare a meno di chiederci: stiamo davvero ballando o stiamo solo cercando di nascondere le lacrime?
Il tema della giovinezza perduta
Verso la fine dell’album, arriva “Adult Girl”, un pezzo che fa venire i brividi. Qui Marina si confronta con la realtà di una gioventù rubata, eppure sembra tanto un cliché quanto una confessione. “Non sono cresciuta in un mondo normale”, canta, e giù lacrime virtuali per questa ragazza che è diventata una donna. Ma davvero? Non possiamo fare a meno di chiederci quanto sia autentica questa vulnerabilità. È solo un’altra maschera per nascondere la paura di diventare adulti? E come se non bastasse, il tutto viene avvolto in una musica che, purtroppo, suona più come un jingle che come un vero pezzo d’arte.
Il paradosso dell’overproduzione
Il problema con “Princess of Power” non è solo l’argomento, ma anche l’overproduzione che lo soffoca. I sintetizzatori pompati e i ritmi ossessivi non riescono a nascondere la mancanza di profondità. Il brano “Cuntissimo” è un tentativo di provocazione che, onestamente, suona più come un insulto al buon gusto. “Do people still say YOLO?” chiede Marina, e ci chiediamo se, invece, non sarebbe meglio dire: “Basta con le stronzate!”. Perché, alla fine, questo disco è tutto fumo e niente arrosto, un viaggio in un luna park dove le giostre sono più emozionanti delle emozioni vere.
In un mondo dove l’autenticità sembra essere un optional, “Princess of Power” si perde nella sua stessa ricerca di potere e affermazione. E così, mentre Marina canta le sue disavventure amorose, ci lascia con una domanda: ma alla fine, quanto è reale tutto questo? Ma chi se ne frega, in fondo? Siamo qui per ballare, no?