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Immaginate di trovarvi in una festa, circondati da gente che balla come se non ci fosse un domani, mentre voi vi sentite come un pesce fuor d’acqua. Questa è l’atmosfera che circonda l’ultimo lavoro di Sophia Kennedy, un’artista che ha il coraggio di sfidare le convenzioni, ma non senza un velo di ironia. Sì, perché quando si parla di musica elettronica, il rischio di cadere nel banale è sempre dietro l’angolo, eppure Kennedy, con il suo album “Squeeze Me”, riesce a tenere viva la fiamma dell’originalità, anche se a volte è come un fuoco di paglia. Ma chi ha bisogno di originalità quando si può semplicemente seguire la massa, giusto?
Un’artista tra due mondi
Kennedy è una di quelle rare creature che riescono a destreggiarsi tra il pop e l’underground, ma non senza un certo grado di ambiguità. La sua musica è descritta come “troppo underground per il mondo pop e troppo pop per l’underground.” E chi non si è mai sentito inadeguato, come se non appartenesse a nessun gruppo? Le sue canzoni, pur essendo catalogate sotto l’etichetta “art-pop”, riescono a trasmettere un senso di vulnerabilità che si scontra con il cinismo della vita moderna. Ma chi ha veramente voglia di esplorare la vulnerabilità quando ci sono meme e video virali a distrarci?
Il viaggio di Squeeze Me
“Squeeze Me” è una sorta di viaggio attraverso un caleidoscopio di emozioni e suoni, registrato con il suo collaboratore di lunga data, Mense Reents. Entrambi hanno un passato nel panorama musicale tedesco, ma Kennedy sembra avere un talento innato per mescolare l’arte con la vita quotidiana, come un cocktail di vodka e succo d’arancia che non riesci a smettere di bere, anche se sai che ti farà male. Ma, hey, chi non ama un po’ di auto-sabotaggio?
Il primo brano, “Nose for a Mountain”, è una riflessione profonda sulla maternità che si muove con un ritmo costante, come un treno che non si ferma mai. “Drive the Lorry”, invece, è una sorta di colpo gelido che ti fa sentire come se fossi intrappolato in un centro commerciale in un giorno di pioggia, un mix di reggae e suoni elettronici che lasciano il segno. Ma non preoccupatevi, le frasi motivazionali di Kennedy non sono mai banali; sono più come sassolini sparsi su un sentiero accidentato.
Le contraddizioni di Kennedy
E che dire di “Imaginary Friend”? Questo brano inizia con un distacco quasi glaciale, ma si trasforma in una danza di suoni che vi farà venire voglia di ballare, anche se la vostra anima è a pezzi. Kennedy sa come giocare con l’idea di relazioni irrealizzabili e desideri repressi, come una ragazza che si innamora del suo migliore amico e poi finge che non sia così. La sua voce scivola attraverso testi che parlano di mondi che non esistono, lasciandovi a chiedervi se ci sia qualcosa di reale nel caos della vita.
Un finale inaspettato
Il culmine dell’album è rappresentato da “Feed Me”, dove Kennedy canta di vulnerabilità in modo così disarmante che vi farà venire voglia di abbracciarla e poi scappare. La canzone gioca con l’idea di dare e ricevere, di prendere e non restituire, come una relazione tossica che non riesci a lasciare. Eppure, in mezzo a tutto questo, c’è una sorta di bellezza malinconica che non può essere ignorata.
Ma alla fine, chi se ne frega? “Hot Match”, il pezzo finale, è un’incredibile dichiarazione di intenti, perfetta per chi ama abbandonarsi a un rock sporco e crudo. Nonostante sembri un po’ fuori posto nell’album, rappresenta il coraggio di Kennedy di sperimentare e sfidare le aspettative. E così, mentre il sipario si chiude, lasciate che sia chiaro: Sophia Kennedy non è qui per compiacere nessuno. È qui per scuotere le fondamenta, per avvertire che la musica può essere un’esperienza tanto bella quanto dolorosa. E chi lo sa, magari un giorno ci renderemo conto che siamo stati noi a perderci in tutto questo.