Diciamoci la verità: la sostenibilità è diventata una buzzword, un concetto così inflazionato da perdere il suo significato originale. Tutti parlano di essere “green”, ma pochi si fermano a chiedersi cosa significhi realmente.
Il re è nudo, e ve lo dico io: nel 2022, il 70% delle emissioni globali di CO2 proveniva dalle attività industriali e solo il 20% era attribuibile al settore dei trasporti. Eppure, ci si trova a discutere incessantemente di auto elettriche e di come rendere più “eco-sostenibili” i viaggi, mentre la vera sfida rimane nelle fabbriche e nella produzione di beni.
So che non è popolare dirlo, ma l’approccio alla sostenibilità è spesso superficiale. Le aziende si affrettano a lanciare campagne di marketing “green”, mentre continuano a inquinare in modo massiccio. Una recente indagine ha rivelato che solo il 5% delle aziende riesce a rispettare realmente gli impegni assunti in materia di sostenibilità. Questo implica che si sta assistendo a una greenwashing sistematica.
La realtà è meno politically correct: i consumatori sono attratti da prodotti “sostenibili”, ma non vogliono pagare di più per essi. Questo crea un paradosso, dove la domanda di sostenibilità si scontra con la realtà economica. Le aziende, per rimanere competitive, puntano tutto sul marketing invece che su cambiamenti reali e sostanziali.
Lasciatemi disturbare la vostra coscienza: la sostenibilità non è solo una questione di scelte individuali, ma richiede un cambio di paradigma a livello sistemico. È tempo di smettere di fare finta che tutto vada bene e iniziare a chiedersi come si possa realmente fare la differenza.
È fondamentale un pensiero critico: prima di abbracciare slogan e promesse di sostenibilità, è necessario chiedersi cosa ci sia dietro e quali siano le vere motivazioni. Solo così si potrà avvicinarsi a una reale sostenibilità.