La crisi del rap: Lil Wayne e il disastro di Tha Carter VI

Lil Wayne torna con un album che, sorprendentemente, non ha nulla da dire.

La crisi della musica rap è qui, in tutto il suo splendore, e a farne le spese è Lil Wayne con il suo ultimo lavoro, Tha Carter VI. Un progetto che, a sentirne il titolo, prometteva di essere epico, ma che si rivela una mera illusione. Non ci sono canzoni decenti, e le 19 tracce sembrano più un grido d’aiuto che un trionfo. Come può un artista che ha fatto la storia del rap, a soli 42 anni, presentare un album che sembra scritto da un robot privo di ispirazione? Forse è tempo di riflettere su quanto lontano sia caduto.

Un album senza anima

Il primo dramma è che non c’è un briciolo di sostanza. I 28 produttori che hanno messo mano a questo progetto non sono riusciti a partorire neanche una canzone degna di nota. È come se avessero preso il nome di Lil Wayne e l’avessero infilato in un frullatore di suoni, senza alcuna cura per il risultato finale. La sensazione è quella di un artista che fa il compitino, con testi che appaiono forzati e che non riescono nemmeno a scaldare gli animi. E pensare che i primi tre album della serie Carter segnavano un’epoca, questa volta sembra solo un tentativo disperato di rivendicare un posto al sole.

La mancanza di innovazione

Il secondo problema è ancora più lampante. In Tha Carter V, Wayne si cimentava con ritmi e idee fresche, mentre qui quasi ogni verso si riduce a una massa di sillabe impilate in modo casuale, come se stesse cercando di risolvere un puzzle impossibile. E poi, perché insistere con questa logica commerciale vecchia di decenni? Si fa fatica a credere che brani come “Island Vacation” possano mai diventare un successo. È un controsenso in un’epoca in cui l’originalità dovrebbe essere il re.

Collaborazioni discutibili

Bono, Lin-Manuel Miranda, Wyclef Jean… chi diavolo ha pensato che queste collaborazioni avrebbero portato qualcosa di buono? Un duetto stucchevole con 2 Chainz e una meditazione melancolica con Jelly Roll e Big Sean non fanno certo bene alla reputazione di un artista che una volta era il punto di riferimento del genere. E non parliamo del fatto che Wayne continua a proclamare che questo è “Tha Carter VI”, come se questo potesse giustificare la mediocrità del risultato finale. È quasi imbarazzante.

Un album da dimenticare

Molti dei beat sono così trascurabili che non riescono nemmeno a sostenere un ritornello. Quando finalmente arriva un’eccezione, come “Rari”, sembra più un’illuminazione in un tunnel buio. Qui, Wayne riesce a brillare, ma è un lampo in un mare di oscurità. Quattordici tracce di monotonia, e quando finalmente arriva qualcosa di fresco, è come se avesse riacceso un fuoco che si stava spegnendo. Ma non basta, perché l’album sembra interminabile, una maratona di mediocrità.

In conclusione, l’operazione Tha Carter VI è un chiaro esempio di come anche i giganti possano cadere in disgrazia. Non c’è nulla di nuovo, nulla di emozionante, solo un artista che tenta di mantenere viva una fiamma sempre più debole. E a questo punto, ci si chiede: ha davvero senso continuare a chiamarlo un capolavoro? Forse è giunto il momento di lasciare che la musica parli da sola, senza bisogno di appellativi che non hanno più alcun valore.

Scritto da Redazione

Bruno Martino: un cantautore dimenticato che merita il nostro disprezzo

Il video di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana: un successo inaspettato che ha frantumato ogni previsione