Diciamoci la verità: gli eventi musicali oggi sono una giungla. Mentre i festival continuano a spopolare, la vera domanda è: si sta assistendo a un fenomeno di massa o a un’involuzione culturale?
Le statistiche parlano chiaro: secondo un recente studio, oltre il 60% dei concerti si svolge in location di grandi dimensioni, mentre i piccoli club e le scene emergenti faticano a trovare spazio. Il re è nudo, e ve lo dico io: il mercato musicale è dominato da pochi grandi eventi, e la qualità spesso lascia a desiderare.
La realtà è meno politically correct: i festival sono diventati un’industria, e non sempre a favore degli artisti. So che non è popolare dirlo, ma il focus si è spostato più sul profitto che sull’arte. Molti artisti emergenti si trovano a dover lottare per farsi notare, mentre i nomi noti monopolizzano le attenzioni e i budget. Questa disparità non è solo un problema economico, è una questione culturale che merita una riflessione profonda.
La situazione è allarmante: se si continua a privilegiare solo i grandi eventi, si rischia di perdere di vista la ricchezza musicale che proviene dai margini. La musica è un linguaggio universale, ma è fondamentale essere disposti ad ascoltare anche le voci che non si trovano nei grandi palchi. È tempo di riflettere su cosa si desidera realmente dall’esperienza musicale.
È importante pensare criticamente agli eventi ai quali si partecipa: supportare gli artisti emergenti e le realtà locali è essenziale. La musica non è solo intrattenimento; è una forma d’arte che merita di essere celebrata in tutte le sue forme.

